CONTRADDIZIONI IN ATTO

1976-1980

 

Alle figure uscite da un nostalgico e collettivo album dei ricordi, attraverso un chiaro processo di identificazione, nella seconda metà degli anni Settanta Amadori sostituisce quelle della famiglia e dell’ambiente di lavoro (la moglie, le due bambine, i colleghi d’ufficio alle dipendenze di una grande industria multinazionale) e spesso anche se stesso, in un reiterato «autoritratto di famiglia in esterno».

Le presenze del quotidiano — quelle, consolanti e affettuose, del nucleo familiare e quelle, spersonalizzate e raggelanti, delle relazioni professionali — si stagliano infatti, anzi: stanno, in un paesaggio dipinto come una quinta teatrale o un fondale fotografico che rappresentano in ogni caso un luogo bello, ricco, persino lussuoso, ma artificioso e immobile: una villa alto borghese o un albergo primi Novecento con il parco che digrada verso il lago, con i prati rasati alla perfezione e le siepi senza neppure una foglia fuori posto; luoghi, a ben guardare, oggi frequentati principalmente da pensionati d’oro, convegnisti amanti di ogni comodità o frequentatori assidui dei più esclusivi «Club Mediterranées».

Ma per fortuna c’è di più: «qui comincia il giardino...! ma che cosa immagina il guardiano / prima che i raggi brucino le erbe?» — scrive Gregorio Scalise nel 1981, a proposito di questi dipinti . E continua:

«Ora vi sono le scale, legate nella differenza, / ricoperte da edere selvagge: / da dove viene quel corpo? / sono gli ireos nervosi / che bruciano fra i quadri / della casa di Hoffmannsthal». In altre parole. in queste opere si può cogliere la noia di un mondo imbalsamato nelle convenzioni. ma anche un profumo raffinato di cose perdute e il desiderio di non viverle male. di riuscire di nuovo ad apprezzarle nel loro segreto e pur intatto fascino.

Pietro Marino, nel suo bel saggio del 1978, osserva come questa elegante e decadente scenografia è sospetta come una trappola di schermi e di nascondigli, dietro i tendaggi, le vetrate, le bianche statue. Ed in effetti ogni personaggio, per quanto vivo e presente, appare immerso in una luce e in una dimensione da acquario o, se si preferisce, da Musée Grevin — il museo delle cere per eccellenza — ove nessuno tenta un gesto e resta bloccato, mentre il suo sguardo si fissa su qualcosa, al di là dell’osservatore, che si riflette enigmaticamente nei suoi occhi.

In questi dipinti complessi ed anche ambiziosi (l’ambizione di raccontare se stessi e di farlo bene), particolare importanza assume il colore: questo nello sfondo a paesaggio si mostra disteso e intenso sui toni del blu cobalto e del verde a smalto, con una luce tutta interna alla materia pittorica; le figure invece sono illuminate teatralmente da un raggio potente che viene da fuori e che le ritaglia senza sfumature né possibili morbidezze nei loro ruoli di feticci del presente.

Marilena Pasquali

 

Contraddizioni in atto 1976-1980