CLASSICO ELEMENTARE

1978-1980

 

Nel febbraio del 1981 mi trovo, dopo diversi anni di amicizia e di attenzione per il suo lavoro, a presentare una mostra di Carlo Amadori tutta fatta di opere inedite, dipinti e piccoli marmi che costituiscono un nuovo ciclo della sua ricerca, una fase di evoluzione rispetto ai lavori precedenti, nel sen­so di una spiccata rarefazione di mezzi e presenze e di enfatizzata sottolineatura del singolo frammento di immagine.

Nelle nuove scelte dell’artista riconosco una declinazione affatto particolare dell'allora imperante pittura di citazione, perché non va dimenticato che intorno al 1980 si è alle soglie di quel ritorno alla figurazione pittorica che in Italia ha trovato i suoi portabandiera di maggior successo negli artisti della Transavanguardia.

Ma, all’interno di un contesto da lui già esplorato, ora citazione per Amadori vuole dire interpretazione dimidiata del mito ridotto a gesso d’Accademia, visione evanescente e sfumata dell’insieme e messa a fuoco puntuale del frammento di un calco di capitello, di voluta decorativa o di parti­colare anatomico.

Egli pare comportarsi come un turista curioso in una zona di scavi (a Pompei, a Vulci, nel parco di una villa del Palladio? Poco importa; gli amori sono tanti). Le rovine, la loro imponenza e il loro silenzio lo circondano, ma forse per lui è più affascinante il ciottolo abbandonato nell’erba o il frammento di marmo con una semicancellata traccia di intervento umano.

È certamente capitato a tutti di desiderare intensamente quel ciottolo o quel frammento, quasi per portarsi a casa un po’ di quella bellezza peraltro intangibile e inarrivabile, persino — a volte — incomprensibile.

Il piccolo «souvenir», anche e proprio perché di nessun particolare valore artistico e storico — ma di altissima fascinazione psicologica — ci sembra più vicino, più abbordabile, in una parola più nostro.

Gli dèi sono in esilio, trascorsa è l’ora degli eroi e gli abitanti di questo tempo esploso possono tutt’al più catturare un brandello di bellezza, racchiudendolo nel palmo di una mano.

A tutto ciò dà immagine l’artista, chiamandolo "classico elementare" e cercando di dare un volto e un nome all’intatto stupore che si prova di fronte ad una visione che sembra tradurre in realtà i sogni più segreti, ma anche alla cocente sensazione di inadeguatezza dello sguardo e del gesto che si avverte se solo si tenta di raggiungerla e di bloccarla.

Marilena Pasquali

 

Classico elementare