CLASSICO ELEMENTARE

1978-1980

 

Prefazione

 

Il filosofo:

«...alla fine sarei stato molto più volentieri professore basileese che Dio; ma non ho osato spingere così lontano il mio egoismo...» Nietzsche coltivava ancora imperdonabili illusioni, e imperdonabili umiltà. Gli artisti d'oggi non hanno fortunatamente di questi dubbi.

Hanno capito anch'essi che il massimo dell'audacia e dell'egoismo è fare il professore e lo fanno fuori di paradosso. Dio, in fondo, non conta gran che in questa nostra società e sarebbe di certo, tanto per fare un esempio, un pessimo assessore alla cultura, incapace di parlare alle masse e di trasmetter loro, come si conviene, la corretta classicità di quartiere.

Il classico elementare, proprio quello del libro di terza media, appartiene oggi al meraviglioso laico, al misterico dell'animatore culturale ed è, confessiamolo, difficilmente praticabile per via di fede.

Occorre, per penetrarlo davvero, lavoro duro e poca immaginazione. Tocca così agli artisti giocare la partita della comunicazione per segni ancestrali, assurdi e vaghi come quelli che, per reggere un capitello corinzio o una colonna dorica, debbono dar conto non della divina geometria ma della divinità del geometra.

Occorrerà vedere, dato che tutto si trova scritto sul manuale, fino a che punto convenga elevare le proprie ambizioni nel ricopiarlo senza irritare gli dei e, soprattutto, senza infastidire i professori, gelosi sacerdoti del classico elementare.

Amadori ha osato: dalla banalità del resoconto di cronaca (l'antica stagione delle autostrade, dei grill, degli aeroporti gozzaniani) è passato alla banalità del classicismo (dalle ville di Stresa al Pechenino dell'età di Pericle) fingendo la naiveté dei professori che, essendo autentici «naifs», cioè sontuosamente ignoranti, si ritengono giustamente inimitabili.

Questo rischia di costargli caro, e rischia di costar caro anche a Marilena Pasquali e a Gregorio Scalise che lo appoggiano in questa impresa di somma presunzione, addirittura con testi critici e poesia.

Ci sarà sempre tempo, comunque, per ridiventare egoisti e fingere, invece della banalità, la propria origine e sorte divina.

Il classico elementare, ora sminuzzato in tavole sinottiche e in marmi di scarto, potrà allora presentarsi, con finzione meno ardua e con fantasia meno avventata, in classico universale: e tutto tornerà come sempre, e come si conviene.

 

Franco Solmi

Bologna, febbraio 1981

 

 

 

Strano e ovvio è il destino dell'arte contemporanea, che dopo la superbia delle avanguardie e la speranza delle rivoluzioni, attinge oggi un'area di rinnovato classicismo, ritrovato non tanto nella riscoperta sensibile di miti e radici mediterranee quanto nell'analisi dell'arte su se stessa, come se ricalcando le orme del classicismo aristotelico del secondo Cinquecento italiano, si ricercasse di nuovo «la sostituzione del mondo dell'arte a quello della vita come oggetto dell'imitazione poetica». Un'arte dunque che preferisce non rivolgersi all'altro da sé, privilegiando i termini della riflessione speculare sulle proprie forme e sul proprio lessico. E questo sia che si ricerchi pacatamente o gioiosamente una nuova «grazia» e «decoro», sia che ci si abbandoni a stilemi di marcata «ingenuità» e «naifismo» culturale che può giungere alla rottura della misura e al trionfo dell'Mbris. Certo questo è tempo di polemiche, di diatribe che, anche quando sono mosse da intenzioni di nuovo potere, si articolano tutte nell'ambito di una indagine all'interno dei confini stessi dell'arte, quasi uno scavo insistito, a volte rabbioso, per riconoscere i mezzi propri del discorso artistico.

Dalle teorizzazioni dell'arte di memoria, dalle ricerche di un'arte antropologica che reinventa affascinata le tracce ed i sedimenti di una storia dell'uomo, dalle suggestioni del mito e di una condizione primigenia che per la cultura occidentale è quella mediterranea, nasce anche ciò che in questa occasione si è voluto chiamare «classicismo elementare», quella sorta di visione attenuata, dimidiata, litotica che Carlo Amadori propone oggi nella sua sperimentazione insistita su abusati modelli accademici e su oggetti che di classico hanno soltanto l'impronta dell'involucro: lo studio di Statue, amorini e giardino, i capitelli corinzi in marmo, la falsificazione della mattonella etrusca.

La regola aurea del classicismo è appresa più su testi scolastici che sulle pagine di Vitruvio, egli stesso figura di sintesi e di divulgazione, di mentalità persino ingenua ed infantile a seguire il giudizio del Vinckelmann. Anche negli studi di Amadori vi è qualcosa di ingenuo, come se nell'entusiasmo della scoperta l'artista avesse cercato di ritrovare e di far proprio lo spirito di un tempo passato attraverso la ripresa di modelli decorativi che a quell'età si richiamano.

Ma non vi è connotazione negativa in questo improvviso amore che ho chiamato ingenuità: sia perché esso è temperato da una pur scontata ironia non dissacrante, che celebra i fasti del passato riportandolo all'oggi; sia perché l'artista si serve di ogni elemento per dar vita ad una sorta di nuovo rompicapo costruito con pezzi non omogenei per formare una diversa immagine, attuale quanto può esserlo il percorso del turista che si aggira fra le rovine rabberciate di Pompei o la falsificazione del feticcio d'arte riproposto come oggetto d'uso prodotto in serie.

Sottaciuto lo spirito, il canto dispiegato di una cultura che ci appartiene ma che non si conosce; abbandonati colonne e capitelli, infranti su deserte rive del Mediterraneo; messa a tacere la misura musicale dei rapporti matematici, «classico elementare» significa oggi riduzione, diluizione di un'immagine di cultura altissima, più avvertita sottopelle che vissuta come patrimonio del presente, fino a giungere alla feticizzazione dell'involucro, del segno minimo: il tracciato di un capitello composito, un fusto spezzato di colonna in un giardino, l'accenno di una decorazione scolastica a ovuli e palmette.

Relitti questi di una tradizione accademica, oggi non più operante dei modelli a cui si richiamava, attraverso la quale la bellezza, la vitalità, l'intensità dell'immagine classica si è diluita perdendo sangue e carne e dando luogo ad una maniera nobile e via via sempre più estenuata.

Oggi di questa cifra accademica di insistite lezioni a tavolino, di esercizi ripetuti come scale musicali si assume il modello, la forma più abusata così che della classicità si è arrivati a percepire l'ombra dell'ombra.

Sembra un gioco di scatole cinesi, una dentro all'altra, ognuna chiusa in se stessa e premessa dell'altra: dall'universo solare del mito mediterraneo all'aulica tradizione accademica; da questa alla «riduzione» attuale come materia di memoria culturale da fondere con altre scorie, altri miti, altre immagini.

Per vedere se è ancora possibile esprimere ed esprimersi, se dall'autoanalisi può sortire una forma attuale e valida di comunicazione intellettuale.

Certo Carlo Amadori è artista d'oggi proprio perché sa affrontare tali problematiche con la giusta dose di consapevolezza e di autocoscienza, servendosi del repertorio del «classico elementare» per creare un'immagine di sincretismo culturale in cui s'avvicinano e si fondono il ricordo delle ville venete - non a caso, esempi cinquecenteschi del ritrovato classicismo, quali Villa Almerico Capra, Villa Barbaro, Villa Pisani - la pratica pop-oggettuale dei passati decenni e gli itinerari del turismo culturale di massa, teso inconsciamente alla ricerca di nuovi miti.

L'operazione di Amadori è un po' quella di chi, prendendo un libro d'arte dei Fratelli Fabbri, riesce a cogliere una stilla di umor poetico e se ne serve per costruire immagini proprie e ben caratterizzate che nulla hanno più a che vedere con i fotocolors patinati che tradiscono senso e linguaggio dell'opera riprodotta.

Potrei dire che oggi Carlo Amadori è un po' nella posizione dell'apprendista stregone di buona memoria che gioca con gli elementi e che proprio in questo rischioso tentativo trova nuove forme e sostanze della materia.

Egli è simile al giovane pittore deìV Apoteosi dell'artista di Goethe che, intento a copiare un dipinto famoso in un museo, si scoraggia di fronte alla propria incapacità e nello stesso tempo aspira al premio degli dei.

Ingenuità quindi nel senso di immediatezza, visione appassionata se pur in parte ancora irriflessa che mostra qualche assonanza con le attuali teorizzazioni di nouveau naifisme, senza abbandonarsi alle calcolate esperienze di urlo espressionistico, di segno sciatto, di pittura sporca.

Forse nelle opere di Amadori vi è meno teoria e meno grinta, ma la sua operazione mentale si rivela più disponibile, meno superba e dotata di un maggior senso del relativismo culturale. Non è costruita con protervia ne pensata a tavolino come operazione culturale vincente nell'attualità; in essa vi è quel tanto di spontaneità, a lungo meditata, che la rende prova significativa dei tempi d'oggi.

La stagione artistica è vivificata da aure leggere di memoria, di grazia, di ironia disincantata e fidente.

Ritorna il mestiere, l'amore per il disegnare ed il dipingere, l'impegno della proposta solitària, che si offre all'altro da sé solo qualora essa sia valida per se stessa nella propria dimensione estetica.

Questa è l'aria che spira, il clima estetico ed esistenziale in cui ci si trova oggi: chi ne avverte il soffio, chi ne coglie l'atmosfera sottile ha qualche cosa da dire e da offrire, un'immagine, un pensiero, un segno elementare.

 

Marilena Pasquali

Bologna, febbraio 1981

 

 

Classico elementare

 

E un gioco riassumere gli scherzi del si

lenzio

ma di questi tempi

amiamo solo le pagine riflesse nei cri-

stalli.

 

Qui comincia il giardino

e i giorni in cui sembra di sbagliare:

 

ma cosa immagina il guardiano

prima che i raggi brucino le erbe

e il vento conservi le sue smorfie?

 

In una notte di stelle

il villaggio è scomparso.

 

Ora vi sono le scale, legate nella diffe-

renza,

ricoperte da edere selvagge:

da dove viene quel corpo?

 

sono gli ireos nervosi

che bruciano fra i quadri

della casa di Hofmannsthal.

 

Gregorio Scalise

Bologna, febbraio 1981

 

OPERE

 

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