ABITARE IL TEMPO

LE RAGIONI, LA NASCITA E LO SVILUPPO DI UNA FIERA PER LA CULTURA DELL'ABITARE

di Carlo Amadori

 

In un percorso immaginario a ritroso dell'umanità vediamo che la storia economica ha avuto quale elemento centrale la Fiera, dal latino feria. Essa rappresentava un momento di incontro e di festa, ma, soprattutto, di scambio commerciale, di conoscenza delle tecniche in origine rudimentali, per divenire sempre più perfezionate con il passare dei secoli. La fiera era l'unica occasione per dar vita a forme di commercio che oggi definiremmo concorrenziali, ove ognuno esponeva quanto di meglio sapeva esprimere in termini di prodotti e di capacità organizzative rapportate al proprio modello di vita.

Con il passare del tempo, il progresso e lo sviluppo industriale trasformando l'economia ed il destino stesso dell'umanità, hanno rivoluzionato anche il concetto di fiera, diventata sempre più un'occasione per presentare progetti e prodotti all'avanguardia, il meglio dell'enorme crogiolo delle attività umane. Troviamo tra queste, in Italia, le grandi tradizioni di lavorazione dei materiali e per la manifattura di oggetti per l'arredo domestico che in una integrazione con l'evolvere del pensiero e del progetto hanno un ruolo importante nel panorama mondiale.

Quando nel 1984 iniziai a riflettere su di un progetto per una manifestazione di arredo a Verona, l'analisi sull'esistente dava un quadro molto articolato. Vi era da un lato un eccesso di fiere settoriali internazionali, con sede prevalente a Milano, e regionali, nei poli fieristici del Nord Italia. Il movimento moderno con la sua connotazione razionalista e funzionale era entrato da alcuni anni in crisi irreversibile. L'alto artigianato italiano, in prevalenza di ispirazione classica, un tempo il migliore del mondo, perduti i modelli originali di riferimento e orientato verso memorie via via tendenti ad una produzione semplificata, era attraversato da una profonda perdita di identità. Infine Verona, una città posta in posizione strategicamente orientata verso il cuore dell'Europa economicamente più forte e destinata a divenire il polo di un'area, il Nord Est dell'Italia, finanziariamente più solido, con un quartiere fieristico in rapida trasformazione e sviluppo, poneva prospettive interessanti. L'analisi su queste riflessioni portava a ritenere possibile la nascita di una fiera svincolata dai modelli esistenti, per una proposta originale ed unica.

Ecco quindi svilupparsi un modello di fiera in grado di attraversare trasversalmente tutti i settori dell'arredo in senso globale e solo per il 15% dell'offerta al più alto livello possibile.

L'originalità della manifestazione veniva quindi da un lato tramite l'individuazione degli espositori attraverso invito o selezione, dall'altro l'esigenza di dare pari dignità espressiva con un progetto di allestimento «open space» organizzato, omogeneo, ed uguale per tutti, mai sperimentato prima. Gli espositori della prima edizione sono stati quelli dell'arredo classico, individuati fra quanti potevano vantare tecniche di lavorazione straordinarie dell'alto artigianato legate a scelte di materiali fondamentalmente originari in natura.

Questo nuovo e radicale indirizzo non era tuttavia sufficiente a rappresentare una manifestazione che, nel titolo altamente evocativo e suggestivo, racchiudeva un mondo più articolato e complesso: «Abitare il Tempo». Ecco quindi immediata l'esigenza di una sezione parallela dedicata alla sperimentazione e alla ricerca. Sperimentazione e ricerca che si sono sviluppate in mostre sempre più puntuali e mirate.

Ripercorrendo in sintesi il percorso organizzativo vediamo come le aziende dell'alto artigianato abbiano per prime risposto alle sollecitazioni di un progetto che le vedeva protagoniste. Attraverso il rapporto con la cultura degli autori, siano essi designers o artisti, ecco quindi scaturire oggetti e arredi che potendo contare sulla «sapienza del fare», potevano caricarsi di significati, «l'oggetto significante», e trasmettere emozioni, «oggetti con supplemento d'anima». Non solo quindi mera razionalità e funzione, ma veicolazione di emozioni, fattori di maggiore complessità quali, ad esempio, quelli di carattere fantastico, psicologico, in modo da implicare l'arte nella realizzazione. La riscoperta di un modo di intendere in piena libertà, ove la diversità oltre che auspicabile divenga un diritto, ove la coesistenza di stili e tecniche possano esprimersi senza alcun vincolo che non sia quello di ciò che si desidera: «la propria casa ideale» ove gli oggetti di nuovo possono essere trasmissibili, oggetti da tramandare, da ereditare.

Cultura dell'abitare si è detto, cioè una conoscenza degli stili, delle tecniche di lavorazione legate alla manualità ed alla tradizione, sicuri contenuti progettuali, l'esigenza di una ortodossia entro la cui intelaiatura poter essere eretici (Rowe).

Gli eventi chiamati culturali partono da una mostra d'arte; nel 1986 è prevista, per il mese di giugno alla Biennale di Venezia, «L'arte colta» che vede quale Presidente Paolo Portoghesi e quali curatori Maurizio Calvesi con Marisa Vescovo. Gli stessi curatori da me invitati, nel maggio 1986, presentarono, per così dire, un'anteprima ove molti degli stessi artisti della mostra veneziana mostreranno le loro immagini anacronistiche.

Scrive Calvesi: «classico» è un aggettivo che in origine designava i cittadini o gli scrittori di Prima Classe, appartenenti ai ceti sociali più elevati ed alle categorie più prestigiose. Parlando di un «Nuovo classicismo» lo facciamo in termini metaforici, alludendo al recupero e al riuso poetico, non alla presunta riconquista di un vertice. Ma la nuova pittura «anacronistica» nello spingere all'estremo la propria «diversità» è lontana dai processi sbrigativi dei nuovi media legati a forme di complessità tecnologiche per tornare a sistemi arcaici e lenti, attraverso il pensiero che guida la mano: un processo «alchemico», che mette in diretto rapporto di interazione le metamorfosi dell'immaginario e quelle della materia, nel tempo «interno» dell'esecuzione. Il tempo, il chrónos assimilato ad una forma di divenire e perire, che trasforma il futuro in passato, «il giorno sopraggiunge prevaricando sulla notte che dissolve e da cui sarà dissolto».

Parafrasando la ricca presentazione di Marisa Vescovo per la mostra «La memoria del tempo»: solo gli artisti presenti a Verona possono affermare che la loro vittoria sul tempo, non è frutto di aristocratico distacco, ma, al contrario, di uno scontro violento, un contrasto che vive per immersione, il tempo è accolto e sottomesso all'etemo presente dell'opera e del suo senso. Il tempo è affrontato e sfidato non per eluderlo, ma per riemergere alla fine coscienti del «sentimento del tempo». Cadute le tensioni sociali all'inizio degli anni '80, entrati in crisi i modelli della modernità, aumentate le possibilità economiche ed il livello di vita, ecco emergere il bisogno di nuovi «miti». Ecco quindi tornare attuale la frase di Erodoto «quelli del mito» per definire i ribelli che osano alzare la voce contro il tiranno Policrate di Samo e, attraverso questo atteggiamento sognano e, pur sapendo che potranno essere sconfitti, continuano ad alzare la voce contro la loro condizione esistente, contro la realtà e in questo ipotizzano una speranza per un futuro migliore.

Se gli artisti tendono a rifarsi non al classicismo ma a qualcosa di molto più eccitante, l'antico, la cosidetta laicizzazione del «classico», ecco, ed a maggior ragione, che l'alto artigianato italiano può ricercare nelle proprie origini, nelle infinite possibilità riconducibili ai materiali delle nostre regioni ed alle conseguenti ed ancora presenti tecniche di lavorazione, un modo per riportarsi fuori dalle secche di una emarginazione culturale e di identità. Già la mostra «II tempo abitato» poneva le prime basi per una sperimentazione e una ricerca che partendo dalla restituzione del Telerò di Carpaccio «II sogno di Sant'Orsola» a cura di Andrea e Lorenzo Forges Davanzali, potendo far misurare importanti artigiani con modelli del passato, ma la mostra lasciava agli altri designers invitati una grande libertà di riferimenti per arricchire i progetti di possibilità espressive proprie degli artigiani «cosidetti dell'arredo in stile». Il risultato, attraverso una scenografia altamente spettacolare di A.M. Prina, fu sorprendente.

Nei lavori del convegno «II concetto di classico», coordinato da Ugo La Pietra, diceva Maurizio Calvesi che gli artisti, ma anche i progettisti e gli architetti, nelle loro rivisitazioni tengono presente una gamma molto vasta di stili, un ventaglio di possibilità infinite per disegnare l'arte del passato universalmente riconosciuta, una identificazione con la dimensione stessa del passato, cioè della memoria, dell'immaginazione, dell'archetipo; aspetti che le avanguardie, aggravate dal loro stesso percorso e dalla stessa fatalità di una novità che, attraverso la ripetizione, diventa essa stessa tradizione e non novità. I diversi «classicismi» del nostro secolo puntavano sulla rifondazione dell'attualità del passato, su un'idea di verità delle forme, dalla quale non prescindere. I «classicismi» facevano leva sul continuum storico, l'avanguardia sulla discontinuità. Gli artisti dell'86 sanno che la «tradizione» la fabbricano da soli scavalcando i vari manierismi, o gli aborti neo-informali, scegliendosi amici e nemici, sanno di dover essere in conflitto con il presente ma di dovere mettere in causa anche il passato (Marisa Vescovo).

Introducendo il tema della tripartizione, riconducibile alla maggioranza dei filosofi che ha operato concettualizzando (Paolo Portoghesi), si può considerare che non si tratta di un pensiero generico, bensì di un elemento forte che non induce a monotonia, non impone comportamenti precisi, anzi vengono stabiliti dei criteri entro i quali si può scoprire la propria libertà, che al tempo stesso sono criteri limitativi di questa libertà. Dopo una lunga digressione sull'importanza stessa degli ordini architettonici, riconducibili alla trasformazione in formule di determinate fasi della civiltà greca, che oltre ad essere fasi storiche sono anche fasi geografiche, si pensi alla pluralità di spazi che attraversano il mare per interessare aspetti estranei, alla cultura greca, i restanti ordini Tuscanico (Etruria) e Composito (Roma). Portoghesi introduce il fascino e l'attualità del classico, questa straordinaria virtualità che si ripropone durante le varie epoche in cui viene ripreso, l'eterno ritomo di qualche cosa che non è mai più la stessa cosa. Il classico che, diversamente da altre culture centralizzate con un forte nucleo unitario, è una cultura senza centro, argomento di orgoglio per rivedere cose antichissime con occhi cambiati e trasformati nel profondo, per vedere in modo diverso. E Portoghesi si interrogava sul fatto che «Abitare il Tempo» fosse disponibile o no ad oltrepassare i limiti dello snobismo e i limiti di una operazione di minoranza, i limiti di un compiaciuto funambolismo basato sulla tentazione di cadere.

L'auspicio era che nella cultura italiana vi fosse la capacità di rappresentare con uno sforzo costruttivo, anche se questo sforzo non era guidato dai sostegni di una ideologia ma dalla fiducia nel fare; rimandare al fare le grandi verifiche sul significato e sul valore di quello che si fa. Ho citato solo alcuni dei relatori e l'essenza dei passaggi che mi avevano interessato e coincidevano con l'impostazione da dare al progetto «Abitare il Tempo». Mi è caro ricordare gli incoraggiamenti a portare avanti l'operazione da parte di Piero Fomasetti, un maestro per me e per molti, tra i primi ad essere informati di questa iniziativa; incoraggiamenti testimoniati sia da una partecipazione nella mostra «II tempo abitato» che nella sezione commerciale: un voler dimostrare di essere parte dell'operazione. L'enunciazione di tré modelli da riconoscere e sviluppare consapevolmente, vennero concordati con Ugo La Pietra, che da questo momento diventerà per me un punto di riferimento costante per lo sviluppo del progetto: - la realizzazione di oggetti classici riprodotti fedelmente rispettando i processi tecnologici, l'uso dei materiali, la manualità, in una fedele ricostruzione del modello originale; - la realizzazione di oggetti riproducentì il modello classico (o i modelli originali) filtrati da interpretazioni che ripercorrono processi creativi e produttivi dell'oggetto e dello stile originale modificandoli in rapporto a nuove esigenze culturali, produttive e d'uso;  la realizzazione di oggetti che fanno riferimento ad oggetti classici, guardando al passato come ad un grande serbatoio di nozioni capaci di stimolare nuove idee: usando la memoria come una delle grandi categorie in grado di sollecitare il pensiero progettuale.

Confortati da un importante riscontro di critica e di pubblico, la seconda edizione è stata sicuramente una riprova che le analisi scatenanti questa sorta di apeiron, di entità che sfugge al numero, erano giuste. Due sono state le mostre cosidette culturali; una, «Le virtù della mano», a cura di Paolo Portoghesi tentava di conciliare il lavoro progettuale di un designer e un artista in rapporto con una azienda. La mostra poneva come tema centrale l'ornamento nell'architettura, nel progetto, nel design, ornamento del proprio corpo, del modo di parlare, ecc.

Ne seguiva un quesito, la distinzione tra decoro e ornamento. La decorazione assume un aspetto di magnificenza, di dignità quando l'ornamento rischia di essere una cosa che si aggiunge; che può essere positiva o negativa, ma che innegabilmente porta con se un ruolo.

L'ornamento partecipa al dibattito culturale, nel campo dell'architettura e dell'arte così come dell'espressione verbale, del pensiero ed è una costante presente nella nostra cultura.

Per far sì che ci identifichiamo negli oggetti che ci circondano, possiamo farlo attraverso una esperienza estetica che forzatamente passa oltre alla funzione, attraverso l'ornamento. La parentesi avanguardista che si richiude malvolentieri alla vigilia del terzo millennio è stata la più straordinaria matrice di proposte culturali. Il suo indurimento ideologico ha messo avanti i suoi aspetti più negativi e non ha fatto altro che accelerare il suo declino in una agonia ormai avvertibile. Il campo di indagine che si presenta a noi d'ora innanzi è immenso: ci consente di sognare ancora, di realizzare l'incontro del moderno con l'antico, ma anche dell'antico col moderno (Gerard Georges Lemaire). Le realizzazioni più straordinarie scaturite dalla mostra, una complessa costruzione di quasi quattordici metri formata da sei torri laterali che altrettanti artigiani veronesi hanno realizzato in condizioni incredibili in rapporto alle loro dimensioni ed alla dimensione dell'opera. Quando il colosso fu innalzato tra i capannoni della fiera, tra l'altro in condizioni metereologiche avversissime, si intuì che ogni realizzazione si sarebbe potuta da quel momento materializzare. La mostra, oltre che nell'«Arca della memoria» con pitture dei fratelli Lamore, portava molte «contaminazioni» di artisti e scultori nei progetti e realizzazioni dei designers con le aziende. La seconda mostra di indirizzo tematico a cura di Ugo La Pietra, progetto di allestimento di Ugo La Pietra e Vincenzo Pavan, presentava una serie di ambienti, delle messe in scena, luoghi carichi di una visione personale di ciò che si nasconde dietro il desiderio. I sette spazi progettati indicano che l'area disciplinare esplorata non è più quella dell'oggetto, ma dell'ambientazione, e che i vari autori hanno dato delle risposte in termini personali, ma sicuramente aggiornate al problema del rapporto tra spettacolarità e concettualità e che ancora attraverso il concetto per cui l'intervento personale può connotare l'ambiente al di là del valore e del significato degli oggetti (Ugo La Pietra).

Le case assumono a questo punto un nuovo significato si riappropriano della valenza di opere d'arte, rappresentando i desideri che possono darci o farci semplicemente sognare. Gli ambienti presentano le aspirazioni più recondite; tutto incentrato sulla cultura del clarinetto per Ugo La Pietra un gazebo per fare musica, per sentirsi nella propria dimensione, di sognatore egli dirà, per fare sognare tutti noi, aggiungo.

«Ho preso casa in città, incominciando dalla cucina ho disegnato un tavolo stretto e lungo che in altre occasioni ha messo fuori mani che impugnano bastoni», così Natalini si presenta con «La stanza di Verona» mentre Mason, Pavan e Roncoletta sono rimasti a tradurre il sogno di Borges di una biblioteca o universo che tendono, compenetrandosi, all'infinito.

«Ogni desiderio è una strada che parte dal sogno e punta dritto ad un altro sogno» un grande libro dipinto che si tramuta in armadio da cui escono immagini fantastiche, le lampade sono uccelli così il tavolo è una farfalla... Carlo Rampazzi ed Anna Del Gatto guardano al passato con nostalgia consapevoli di avere perduto tuttavia l'innocenza. Il «Gran teatro domestico» di Scacchetti pensato come «una casa con il tetto a botte e appoggiata su esili pilastrini, quasi casa su palafitte o sospesa su immaginari filari di pioppi padani.

La seconda edizione, presentando un numero doppio di espositori, alcuni in più per quanto riguarda la presenza francese, aveva consentito di sviluppare una ragguardevole proposta culturale che fin dalla prima edizione ha significato oggetti ed opere inedite pensate, progettate e realizzate in forma di prototipo.

Il Convegno «Virtuosi decori» a cura di Isa Turino Vercelloni ha definito con maggiore puntualità i temi dibattuti durante la prima edizione e le nuove mostre allestite. La nuova fisionomia dello status sociale rapportabile ad un assorbimento di fattori simbolici legati a consumi in larga parte individualizzati e caratterizzati, capaci di produrre immagini, portano inevitabili riflessi nel mondo dell'abitare.

Una nuova esigenza di ordine ecologico scaturisce da un sempre più diffuso rifiuto di prodotti industriali e di ciò che comporta una produzione di serie, la rivalutazione di ciò che è artigianale capace di legarsi a valori estetici molto vicini alla creazione artistica vera e propria. Possiamo chiamare «Nuovo barocco» sociale ciò che può portare a stili di consumo automoltiplicantisi, sempre più complessi e diversificati. Penso vi sia la tendenza a dare più vitalità, più energia, più fantasia, soprattutto più comunicativa alle cose. Nella casa del duemila potremo avere l'antinomia tra decoro e astrattezza cibernetica, contrapposizione fra barocco decorativo degli hardware contrapposto alla immaterialità del software (Mario Abis). Le sculture e pitture del passato non erano sovrapposte all'architettura, una parte integrante di un processo narrativo. Questa figuratività è stata rimossa in questo secolo, per giungere ad un'architettura purista.

Parafrasando Adolfo Natalini relatore al convegno «Virtuosi decori», l'architettura è stata ridotta a nervi e ossa. Ora la decorazione cerca di riportare la pelle su questo fascio di ossa e nervi, ma affinchè il processo sia destinato a qualche speranza di successo occorre recuperare la carne, il sangue, l'intero corpus. Avremo così non dei decori virtuosi, ma necessari, o ancor meglio il necessario decoro nel senso inteso da Vitruvio, l'opera perfetta ottenuta quando ogni elemento è conforme alla estetica, alla consuetudine, alla natura. Così La Pietra ricorda come la decorazione sia assimilabile ad una scala formata da gradi di libertà, per cui ogni oggetto si può caricare di componenti ironiche e sensuali legate alla memoria e alla nostalgia ed il suo progettista, sia esso artista o designer, possa esprimersi attraverso i mezzi, i modi ed i materiali che desidera dando a tutti la possibilità di superare le separazioni disciplinari. L'«0rnamento e delitto» di Loos non suscita oggi alcuna preoccupazione in ragione di un anatema bollato dagli eventi e dalla storia, ma anche l'affermazione di Adorno «II borghese desidera che l'arte sia voluttuosa e la vita ascetica, mentre sarebbe meglio il contrario» ci lascia oggi indifferenti. La clessidra del tempo ha cambiato il rapporto tra i fattori. Una parte dell'estetica rivendica il piacere, il ritornare a considerare il fruitore significa già restituire complessità all'arte e cioè un'arte che non può fare a meno della decorazione. La nuova congiunzione non solo tra architetti e artisti, ma tra aspetto visivo-edonistico e tra aspetto costruttivo, può avvenire all'insegna non della speranza di costruire un nuovo linguaggio universale, ma viceversa nel tentativo di costruire un linguaggio plurale (Paolo Portoghesi). Alla terza edizione si propone la mostra tematica dal titolo «II piacere di abitare» a cura di Adolfo Natalini. Passata l'ubriacatura del moderno, la ricerca a tutti i costi del nuovo, pare che nella produzione degli oggetti, gli artefatti (Natalini) vi sia una maggiore propensione a riacquistare il posto che per questi è sempre stato loro, al fine di rendere il mondo più adatto all'uomo che lo abita. «Il piacere di abitare» è una mostra che raduna una serie di stanze a cura di designers e artisti provenienti da aree culturali diverse. Stanze che potrebbero trovare sistemazione in quella fìsolofia dell'arredamento che Mario Praz così delineava «eran pur belle Europa e le tue quiete stanze...».

La mostra, con un impianto ispirato alla Torre dei Venti dell'Agorà di Atene in impianto poligonale, descrive tante stanze ove l'amore per l'arte, per la manualità e i materiali, la curiosità per un nuovo che comprenda il passato, portano al piacere di abitare.

Da questo momento è impossibile una descrizione di tutte le mostre che compongono i grandi eventi di «Abitare il Tempo». Questa dissertazione sui primi anni è servita per inquadrare il clima, le ragioni di un progetto articolato e complesso, ora ritengo più utile una sinteticità che avrà modo di essere esaurientemente compresa dalla lettura dei testi a corredo dei vari autori in relazione ai vari anni ed alle rispettive mostre.

Un tema nuovo a partire dal terzo anno è rappresentato dalla mostra «Genius loci» dedicata alle regioni che maggiormente rappresentano la realtà dell'alto artigianato italiano ad «Abitare il Tempo» ed in senso più ampio in Italia e nel Mondo. E proprio attraverso la presenza di Lombardia, Veneto e Toscana e le loro tipicità e lavorazioni legate ai materiali, che parte un lavoro sistematico di sperimentazione e ricerca sui territori; prima questi poi altri per approdare a realtà europee fino al lontano Giappone. Sono presenti le tré grandi aree di lavorazione del mobile ma anche l'arte serica di Como e Venezia, la lavorazione dei marmi di Carrara, la ceramica di Nove e Bassano, il vetro di Murano, l'alabastro di Volterra, ecc. Cento gli artisti coinvolti per un numero complessivo superiore di oggetti solo in questa mostra.

Nel 1989 assistiamo ad un fatto nuovo, alcune aziende di estrazione contemporanea, questo è il termine con cui preferiscono essere chiamate le aziende che operano nell'area ex-moderna, manifestano i primi segnali di avvicinamento ad «Abitare il Tempo». È ormai acquisito e conosciuto il risultato e l'eco suscitato dalle mostre culturali è tale da presentare prodotti che, supportati da una forte progettualità, stimolano il versante contemporaneo ad avvicinarsi alla manifestazione, ecco quindi un primo nucleo di aziende che per la prima volta espone a fianco delle cosidette aziende del mobile «in stile» e partecipa con loro nelle mostre culturali. Mostre che presentano nella versione tematica il tema dei «Rituali domestici». Un panorama nuovo si apre attraverso la sperimentazione e la ricerca condotta non soltanto dai designers canonici, ma da uno stuolo di artisti e creativi che sperimentano nuove formule per nuovi e antichi rituali affinchè, affiancando allo sviluppo della produzione un altrettanto sviluppo della ricerca che guarda alla tradizione, si possano percorrere con maggiore sicurezza, nuovi territori (Ugo La Pietra). La mostra sulle realtà regionali presenta ben otto momenti affacciati su di una larga piazza asimmetrica ove ognuno si presenta con la propria peculiarità; valori diversi per un obiettivo di crescita comune. Nel convegno «Ornato, Progetto, Destino» a cura di Enrico Crispolti viene evidenziata l'importanza dell'ornato quale esigenza di una dimensione antropologica più ricca, occasione di sollecitazioni psicologiche, di viaggi nella fantasia, di elementi che ci possono portare ad un senso complessivo del patrimonio del nostro vissuto. Maurizio Vitta nota come l'ornamento, più che aggiungersi alle cose, è visto come partecipante alla natura stessa delle cose e sottolinea come in latino l'ornamento era rapportato all'armatura dei guerrieri, quasi a sottolineare non solo l'aspetto esteriore, ma la conseguente funzione e potenziamento. Così Omero si soffermerà sull'ornamento dello scudo di Achille, formidabile nella protezione del Pelide, ma anche straordinariamente ornato è il letto di Ulisse ricavato da un tronco d'olivo ma ornato d'oro, d'argento e d'avorio. In senso più ampio l'ornamento partecipa sempre nel dibattito culturale, nel campo dell'architettura, dell'arte, della letteratura, così come nel campo del pensiero, della stessa espressione verbale e definitiva, ma costante, della cultura occidentale.

Nel suo intervento Gianni Vattimo sottolinea come la filosofia abbia di per sé un carattere ornamentale, non aggiunge nulla a quanto già sappiamo, ma lo foggia in un modo più comprensibile, più accattivante, dando ragioni di tipo argomentativo che ne legittimano le scelte. Il passaggio tra la modernità e la condizione postmoderna passa per Vattimo attraverso la frase di Heidegger «Pieno di meriti e tuttavia poeticamente abita l'uomo su questa terra» un concetto che trovo centrale per «Abitare il Tempo».

Vi è nella poeticità dell'abitare un elemento di vaghezza così come lo troviamo nella storia dell'ornamento. In un passo di un lavoro giovanile di Nietzsche vi è una frase che esprime compiutamente il suo tempo ed i riflessi che ne seguirono «non possiamo più produrre niente di creativo, poiché siamo sovraccarichi di memoria storica» ma poi al termine della sua vita quando dice di essere Dioniso, Cambise e tutti i nomi di personaggi storici, di fatto esprime la propria espressione di sé dentro un quadro classico di corrispondenza perfetta tra interno ed estemo, aprendosi quello spazio intermedio nel quale si colloca il problema che può essere l'attività dell'ornamentazione. Vattimo trova molto felice l'espressione «Abitare il Tempo» nel senso che lo spazio diventa abitabile quando si stratifica nella sua pluralità temporale in qualche modo nella nozione di ornamento, a cui potrebbe associarsi il recupero di monumento, per una monumentalità degli oggetti, come capacità di lasciare tracce. Ornamento destinato a dilatare gli orizzonti dell'esistenza attraverso la moltiplicazione dei riferimenti. Il mondo degli oggetti ha bisogno di un ambito simbolico molto intenso per potersi reggere anche nella sua pura oggettualità. Come si è scoperto lo stato simbolo dell'oggetto d'uso, è iniziata la retorica di ogni tipo di progettazione.

L'ornamento dunque offre una quantità di significati che legittimano la progettualità nella nostra epoca.

Nel 1990 il progetto si dilata verso una nuova dimensione che aveva avuto un episodico preambolo, nel «Sogno di Sant'Orsola» di Carpaccio in occasione della prima edizione; ma mentre in quel caso l'interpretazione e l'elaborazione del progetto erano opera di un autore, ora sono Università di design o Istituti d'arte che studiano il passato in modo scientifico dandone elaborati che le aziende, in particolare di ispirazione classica, sono in grado di tradurre in concreto.

Gli aspetti più straordinari sono la materializzazione del leggio della «Annunciazione» degli Uffizi di Leonardo, lo sgabello da «I sette peccati capitali» di H. Bosch, la culla da «Sant'Antonio resuscita un bambino» di Piero della Francesca, lo sgabello da «La bottega dell'orefice» di Alessandro Fei e la panca dall'opera di Vincenzo Poppa «San Pietro martire invoca una nuvola per riparare la folla dal sole».

Si tratta di opere che riportano il maggior fulgore del Rinascimento.

Quale emozione ritrovare tra noi autori di tanta grandezza, quale patrimonio ed attualità può essere ancora espresso, quali potenzialità per le nostre imprese artigiane o industriali che siano!

La mostra sulle riedizioni prosegue nel suo excursus nel tempo fino ad Hoffmann, Mollino, Basile, Paul Franki, per culminare nella stanza da letto di Topolino di Walt Disney tratto dai primi cartoni animati in bianco e nero dello straordinario ideatore di fumetti americano.

L'accostamento tra Rinascimento ed i fumetti di Walt Disney non è un'operazione blasfema, anzi dimostra come tutte le operazioni frutto di grandi capacità creative possono non solo essere riproposte anzi possono coesistere. «L'arte della tavola» prosegue nel solco della nostra proposta di mostre tematiche che da tré anni stiamo proponendo a Verona: gli autori italiani, ma anche stranieri come N. Coates e R.

Arad daranno progetti molto importanti che le aziende produttrici e la scenografia della mostra, essenziale ed altamente evocativa, sapranno eseguire e mostrare in modo straordinario.

La mostra delle regioni italiane, arricchita da alcune presenze europee, è sottolineata nel titolo stesso «Raptus Europae», una operazione che, a otto regioni italiane, accosta due regioni europee ed il lontano Giappone.

La sezione commerciale vede equilibrarsi il rapporto fra i segmenti trasversali dell'arredo con una presenza sempre più articolata dell'arredo contemporaneo.

Nella scenografia esterna di ingresso alle varie realtà espositive, l'ingresso trionfale ispirato alla tomba di Agamennone a Micene, oltre che estremamente funzionale, evoca l'archetipo della simbologia della casa come in seguito verrà massimamente intesa dopo che la cultura classica greca avrà introdotto gli ordini architettonici.

Nel convegno «Oggetto e neo oggetto» a cura di Maurizio Vitta, vengono sottolineati da quest'ultimo cinque anni di ricerca, e rifacendosi al sillogismo neo, ne individua un segnale di mutamento nei confronti dell'oggetto contemporaneo che soffre di modificazioni e moltiplicazioni parossistiche e contestualmente vede ridursi la propria natura, in un processo di alterazione della forma e delle funzioni. È a questo punto che l'oggetto d'uso, che ne giustifica l'esistenza ma ad un primo stadio, acquisisce quei valori di tipo affettivo, simbolico, estetico, che già abbiamo verificato nel corso delle passate edizioni, diviene sempre più impor-tante e pregnante. Ecco delineati i temi: oggetto quale presenza costante, neo oggetto quale nuova presenza per un rapporto nuovo con le cose e in definitiva con noi stessi, un oggetto presente, che contiene quelle peculiarità che lo distinguevano nel passato e che ora è proiettato verso un futuro che noi stessi contribuiamo a costruire mentre ne fruiamo. Chi ha paura di Mantegna, Leonardo o Bosch? Si chiede Cristiano Toraldo Di Francia coordinatore della mostra sulle riedizioni.

«Se da una parte ci è consentito di tracciare decorazioni e figurine su qualsiasi superficie, dall'altra ci interessa riscoprire la decorazione come fatto intrinseco al materiale, come schema di montaggio e virtuosismo artigianale». Da un lato «Abitare il Tempo» esprime l'incondizionata fiducia sul predominio del progetto, del disegno, dall'altra esprime la fiducia e la volontà di recuperare certe caratteristiche di materiali e di lavorazioni proprie dell'alto artigianato.

Al termine della manifestazione del 1990 succedono alcuni eventi che portano a modificazioni strutturali, da un lato lo spostamento del Salone del Mobile di Milano dopo l'edizione di settembre dello stesso anno all'aprile del 1992, con conseguente spostamento di data di «Abitare il Tempo» dall'appuntamento ormai consolidato di maggio a quello di fine ottobre. Le temute nebbie padane e certe manovre per snaturare la formula, trovano una compattezza nel comitato di «Abitare il Tempo» veramente straordinaria, così come tra i componenti della segreteria organizzativa e gli autori che l'hanno da sempre seguita, dando tutto il loro apporto di professionalità. Da parte di chi scrive vi è in quel tempo un turbamento profondo e credo che si possa avvicinare a queste riflessioni «Cosa resta dell'uomo, se gli si sottrae il piacere di lottare per le proprie scelte ideali? Sono disorientato e solo. Suppongo allora che sia giusto puntare sulla mansuetudine, screditando l'intelligenza che spesso degenera in strumento di dominio e di oppressione. Ma la mansuetudine corre il rischio di trasformarsi in dabbenaggine, o in oggettiva complicità con i prepotenti e i malvagi.

Forse la soluzione è quella di vivere giorno per giorno, scegliendo caso per caso, secondo i principi di una nuova elementare solidarietà umana...» Sono parole di Tito Lucrezio Caro che trovo attualissime e che danno un significato e la forza di continuare quando il travaglio è così profondo.

L'edizione del 1991 con un tempo organizzativo forzatamente superiore e l'assenza di manifestazioni internazionali in Italia consentirono una edizione, anziché in tono minore come temuto da qualcuno, una grande operazione in crescita con grande sviluppo delle mostre culturali.

Lo studiolo di Sant'Agostino di Filippo Lippi introduceva in una casa ideale nel passato attraverso secoli e diverse nazioni.

Infatti, superato un vestibolo, ecco «Dining room» di Joubert & Petit: siamo qui nel 1925, più che «copiare» si tratta di «capire» diceva Tiziano Dalpozzo nell'affrontare con i suoi studenti l'analisi del dipinto ispiratore da tradurre in esecutivo che le sapienti aziende presenti a Verona sapranno perfettamente realizzare.

Le stanze da letto evocative e strabilianti vanno da «L'Annunciazione» di Van Der Weyden a quella di Van Gogh ad Arles, per finire a «Un miracolo dei SS. Cosma e Damiano» di Beato Angelico.

La particolarità di quest'ultimo dipinto in rapporto all'Annunciazione dello stesso Angelico che si trova nella lunetta contigua di S. Marco a Firenze è l'avere materializzato dopo cinque secoli, attraverso lo studio di Nicola Pagliara e dei suoi assistenti, una costruzione che ci consente di vedere le due ambientazioni in un unico corpus.

Il letto di Beato Angelico che qui è stato realizzato, ha poi trovato uno sbocco sul mercato, con ulteriori interpretazioni, da parte di una azienda leader per quanto concerne il dormire; ma a Verona il prototipo in legno di castagno realizzato da Tarpac con i sontuosi drappi azzurri di Mateb aveva un fascino insuperabile.

La casa del passato terminava con il Brutus di David un dipinto straordinario che segnò un'epoca ed ancora ci coglie emotivamente per quelle che F. Meschini chiama «un rapporto insieme determinato e discontinuo con il repertorio che il tempo ha sedimentato, immersioni ed affioramenti, pedanterie filologiche e fulminanti amnesie, escavazioni e seppellimenti prudenti, l'incedere tra antichità classica e antichismo moderno, posterità...».

La riedizione del quadro di David consente la realizzazione di tré sedute realizzate da Chelini, Belloni e S.A.L.D.A. che ancora oggi continuano a destare stupore ogni volta che sono presentate anche fuori dal magico contesto scenico in cui Meschini e l'efficientissimo Stefano Cassio le avevano calate.

Uscendo dalla casa nel passato si poteva accedere alla mostra «II grande sonno». Devo confessare che questo titolo me lo diede Piero Fornasetti ed a lui, il grande da poco mancato, la mostra era dedicata.

Dieci stanze sobriamente e spettacolarmente ordinate in un impianto progettuale di Ugo La Pietra. Vediamo convivere personalità di progettisti diversissime e realizzazioni dal classico al contemporaneo, mondi inconciliabili che finalmente dialogano, si confrontano.

I titoli della mostra sono da ricordare come parti perfettamente integranti della esplicazione realiz-zativa: «Dormire è essere fanciulli» di Baiisi, «Rondò tra sogno e realtà» di Nava, «Perdersi e ritrovarsi» di Derossi, deliziosa la piccola quinta mobile per chiudere o aprire il rapporto di coppia, «Notte a Gerusalemme» di B. Fornasetti, «Gambe tornite e belle» di La Pietra, «II grande sogno» di Morozzi, «La domenica mattina» di Scacchetti, «Speaking di Iosa Ghini, il «Senza titolo» di Deganello un tappeto-letto indimenticabile, «OOOh» di Serafini per finire con «Vorrei baciarti i piedi dolcemente» di Marano. Chi conosce questi autori e chi ha avuto come me la piacevolissima ventura di poterli frequentare, noterà che ogni opera è un vero e proprio autoritratto. La mostra complessiva iniziava con un improbabile letto in mosaico di Ugo La Pietra per terminare con un mio dipinto «II sogno dell'architetto», una stanza aperta e chiusa da porte di A.F. Porsche. La mostra sui «Progetti e territori» proponeva ben nove regioni italiane alle quali si aggiungevano la Germania con il contributo di Vitra Design Museum ed il Giappone attraverso la regia di Fumio Shimizu, geniale designer e grande organizzatore. In questa mostra vengono presentate due sedute, ma per una in particolare, in velluto rosso degli autori Hiroyuki e Ronen (Hironen), ritengo che le parole non bastino assolutamente ad esprimere i significati, tanto erano e sono tuttora implicati l'ironia (dai buffi pennacchi che ricordano il giullare di corte), la funzione (una comodità straordinaria), l'effetto scenico (il drappo a strascico) e cento altre sollecitazioni che non riesco a tradurre. TI Convegno a cura di Vincenzo Pavan vede come relatori, oltre a molti autori de «TI grande sonno», la presenza di Ettore Mocchetti presente con noi per il prezioso sostegno della sua rivista e per certi versi anticipatore di quanto stiamo concretando in Fiera a Verona, il caro Franco Passoni sempre prodigo di consigli e incoraggiamenti, la straordinaria figura di Francois Burkhardt che da questo momento sarà un punto di riferimento costante e preziosissimo per lo sviluppo della manifestazione. Dice Burkhardt al Convegno «TI design d'avanguardia si situa oggi in una strategia di integrazione tra innovazione tecnologica, prodotto di serie, ma anche prodotto fuori serie, in cui l'artigianato ha un ruolo importante; è quindi proprio su dei valori nuovi che si basa il design contemporaneo. Questi nuovi valori dimostrano che il design ha abbandonato il concetto di modernità al quale era strettamente collegato...». Così che rifacendosi a certi aspetti di una nuova cultura sviluppata in nuovi circuiti artistici che l'hanno rimodellata: i film di Almodovar, il teatro di Jerome Savary, la pittura di Julian Schnabel, gli ambienti di Anthony Miralda, le sculture di Jeff Koon, il music-hall di Robert Wilson, il design decorativo di Alessandro Mendini e moltissimi autori presenti a Verona aggiungo, così come le strip architettoniche di Bob Venturi. Questi personaggi si prefiggono la rivalutazione della cultura dalla quale provengono ed a cui attingono, considerata «banale» dalla critica dotta. Questo atteggiamento può essere identificato nella cosidetta «cultura intermedia». E stato necessario un tempo di decantazione per affermare appieno le qualità a questo «diritto» di riconoscimento, come del resto per l'operazione «Abitare il Tempo». Per quanto riguarda il versante promozionale-commerciale, mentre si riconferma come ad ogni anno la presenza delle migliori aziende di ispirazione classica, troviamo presenti alcuni nomi storici di aziende di estrazione moderno-contemporanea: Driade, Poltronova, Maxalto, Rapsel e molti altri che consentono, dopo attenta selezione, una proposta articolata e oramai importante in un padiglione intero.

A completamento dell'edizione 1991 circa accostamenti tra le nostre esperienze di sperimentazione e ricerca quanto accadeva di significato nel mondo esterno in specie dell'arte con mostre dedicate ad un «Neobarocco» per un progetto, quasi amorale, per la sua vocazione all'eccesso e per la sua intenzione di far vibrare le corde emotive e che contrasta felicemente quello esangue e pudico governato dalle nuove prescrizioni tecnologiche...» rimando al testo sul 1991 di Cristina Morozzi che ne ha esaustivamente sottolineato specificità e caratteri.

Il 1992 segna l'anno della consacrazione di ciò che molti critici e noi organizzatori abbiamo indicato come «Neo eclettismo». Si tratta più che di uno stile di un movimento, o meglio ancora in termini di comprensibilità, l'incontro tra il mondo produttivo classico, soprattutto l'alto artigianato evoluto, con la cultura del progetto contemporaneo e l'area di estrazione contemporanea industriale orientata verso nuove lavorazioni anche manuali e l'uso di materiali tipici dell'altra realtà.

L'incontro tra questi mondi, supportato ad «Abitare il Tempo» da una ricerca e sperimentazione di dimensioni imponenti, ha determinato il termine identificativo «Neoeclettismo». Una nuova realtà che si esprime nel concetto di una libertà pluralista e complessa, ove i prodotti «effìmeri», come quelli di piccola serie fino al pezzo unico, si affiancano a quelli «eterni» ove le lavorazioni supertecnologiche possono integrarsi con la sapienza del fare tipicamente manuale, ove i linguaggi arcaici sono complementari dei linguaggi innovatori.

Quando Winkelmann recuperò il vocabolo «Eclettismo» da una definizione di antica filosofia greca etichettata di portare ad un immobilismo sublime, in certo qual modo negativo, pensava invece ad un coacervo di valori ottimali come il disegno di Raffaello, il colore dei maestri veneti, al chiaroscuro dei Carracci ed al cromatismo di Correggio, al fine di definire un ideale estetico nel campo dell'arte, che purtuttavia poteva anche essere .in divenire, in evoluzione.

Questo concetto può essere avvicinato agli intendimenti di «Abitare il Tempo» e trova la suamaterializzazione ne «La casa neoeclettica».

Una grande casa progettata da La Pietra un impianto semicircolare su cui si affacciano le stanze, sette ambienti a cura di altrettanti autori che sostanzialmente hanno connotato i sette anni di sperimentazioni e ricerche trascorse. La parte culturale proseguiva poi con la grande mostra sui «Progetti e territori» di dimensioni sempre maggiori dove, alle regioni italiane si affiancavano la Francia, la Germania e il Giappone. Il tema delle riedizioni, in un excursus temporale di avvicinamento ai nostri giorni, verteva sugli anni a cavallo fra XIX e XX secolo, quasi che la simmetria dei Fins-de-siècie, che ha così tante affinità col nostro tempo potesse ancora consentire di evolvere la cultura dell'abitare. Evento centrale era senz'altro la riedizione della stanza a chiocciola di Carlo Bugatti del 1902, ma altrettanto rilevante la riedizione di un arredo a Roma del 1905 di Duilio Cambellotti. Nel Convegno a cura di Isa Turino Vercelloni vi sono alcuni passi che ritengo debbano essere sottolineati e ricordati; la citazione fatta da Alberto Alessi per Pomari, secondo cui «nelle nostre scelte predominano, assai più di quanto si possa pensare, le strutture del pensiero simbolico-affettivo (cioè gli affetti e le emozioni) rispetto a quelle del pensiero logico-cognitivo (cioè la ragione e la funzione)».

Passando attraverso una elencazione di codici quali gli Erotemi, i Parentemi, i Coinemi, ecc. l'aspetto di difficoltà è rappresentato dalla definizione pratica con cui si arriva alle strutture affettive dell'oggetto ed a conoscere a quali codici si rifanno gli autori per caricare di significati l'oggetto progettato. È così che Fulvio Carmagnola parafrasando Heidegger vede consumata la separazione tra Poiesis e Techne. «La tecnica autonomizzata dai propri vincoli, resa astratta e disponibile nella sua plasticità, può divenire generativa, simulacrale. La sua possibilità di essere ingannata, dissimulata dalla forma, è proporzionale alla sua stessa potenza. L'artista e il designer possono usare della sua illimitata disponibilità e pervasività. L'astuzia della forma, allora, si rivela come una sorta di ingenuità suprema».

Nella conclusione del suo intervento Carmagnola sottolinea come il design si sia avvicinato, in misura imponente, all'arte, disseminando «disordine» rispetto alla vetusta nozione moderna di funzione e di uso, «moltiplicando le poetiche trasgressive di alcuni episodi marginali della modernità». Ora quindi l'oggetto segnala una nuova condizione estetica dalla quale è impossibile rifuggere, un oggetto che suscita riflessione, stupore, meraviglia estetica, quell'oggetto che il tema del convegno ha così ben delineato: «L'oggetto parlante». Per quanto attiene alla fiera cosidetta commerciale, questo 1992 segna una svolta da un punto di vista logistico. Nei due nuovi grandi padiglioni 15 e 16, che completano un quartiere di dimensioni e potenzialità Europee, vengono dispiegati gli espositori con la possibilità di una ancor più marcata spettacolarità espositiva in un ambito ricco di servizi sia per gli espositori stessi ma soprattutto per i visitatori. Vi è a dire che per la prima volta si introduce il tema del laboratorio metaprogettuale, un'area destinata a proporre e sottolineare non soltanto i prototipi inediti, bensì oggetti e situazioni che stanno vicini al mondo della distribuzione, in definitiva al mercato. Questo primo esperimento comprende il mondo dell'infanzia; estremamente importante il lavoro di ricerca di Bruno Munari che con materiali neutri ha operato con i bambini affinchè loro stessi potessero comporre un arredamento a loro scelta. E noto come i bambini subiscano l'arredamento fatto dai genitori, qui i bimbi hanno ammucchiato scatole, definito oggetti per fruizioni specifiche per poi disfarli e riproporli secondo l'istinto; da queste esperienze, filmate in videotape, Munari si ripropone di trarne riflessioni sulle costanti, sulle peculiarità delle scelte del mondo dell'infanzia. Culminati con la grande mostra «La casa neoeclettica», i primi sette anni di «Abitare il Tempo» hanno sottolineato quanto importante sia stato il Neoeclettismo come atteggiamento progettuale, ma ecco scaturire un'esigenza di azzeramento, per non scadere in stile, per poter proseguire nel cammino che la stessa denominazione «Abitare il Tempo» consente, per cercare nuove e ancora altrepossibilità espressive. La mostra del 1993 «Camere con vista» è concepita insieme ad Ugo La Pietra proprio in questa direzione, così che pensatori, filosofi e critici di estrazioni diversissime possano lavorare con un autore, designer o artista che traduca in concreto le loro idee. Ne uscirà una mostra molto complessa, forse la più problematica tra quelle allestite ed organizzate ad «Abitare il Tempo», ma per questa ragione di grande forza propositiva.

Maurizio Barberis incaricato di organizzare il convegno e coordinare il dibattito che ne sarebbe certamente scaturito, parla, a ragione, di «innesco di un corto circuito tra teoria e prassi». Andare ora a dare il senso compiuto di ogni pensiero e rivivere la mostra che è rimasta solamente nei nostri cataloghi e nel nostro ricordo, è impossibile, rimando perciò ai testi sulla mostra e sul convegno anche se alcune riflessioni, cercando di cogliere nel segno, mi sembrano utili.

A.G. Gargani dice a proposito dell'ambiente di Sottsass: «si tratta dell'operazione di un pensiero globale, nel senso di una partecipazione dell'uomo alla forma di vita, alla realtà diversamente dalla tradizione metafisica che non può essere dominata o controllata, ma che è anche una realtà che ci sovrasta, che resta come un mistero ed un enigma...».

L'uomo che potrà utilizzare i contenitori di Sottsass, è un uomo che mentre li utilizza, mentre li usa ci vive assieme, proverà delle emozioni, avrà dei pensieri, dei desideri. Oggetti quindi «terapeutici» regolati sulle condizioni e sui momenti della emotività. Almerico De Angelis sente una forte e diffusa domanda di «poesia» che si esplica attraverso la ricerca di un «design sensibile» ma semplice e comprensibile per tutti.

Parlando della stanza di Andrea Branzi, introduce il tema di quest'ultimo per una «Mutazione genetica» tale da lanciare un messaggio archetipale, una rilettura in chiave metafìsica dell'«Existens minimum». Quello che l'uomo oggi cerca, pare sia una «sensibilità dell'ambiente» tale per cui gli elementi che lo compongono possano divenire suoi compiici in un gioco in bilico tra fantasia e realtà, tra sogno e funzione. Ezio Manzini a proposito della camera ecologica di Serena Omodeo introduce il problema della sostenibilità, un termine che significa produrre e consumare in modo da non rompere gli equilibri ecologici esistenti su cui si basa la speranza di continuità della specie umana ed in senso più ampio dell'intera biosfera del pianeta. Ma la sostenibilità può avere significati più ampi come quelli sociali (riequilibrio Nord-Sud), quelli dei valori, affinchè ciascuno di noi possa trovare risposta alle proprie domande esistenziali. Sulla stanza de «La nuova territorialità» Vittorio Fagone dice che La Pietra «da sempre preferisce affidare il profilo di riconoscibili topografie, ad una scrittura nitida e veloce in cui oggetti, prospettive, intemi si dispongono come in un film, cadenzato, ma senza interruzioni; la chiave di questa scrittura figurale, quasi ideografica è una ironia garbata e ridefinitoria: oltre il confine paralizzante delle abitudini e dei luoghi comuni irrinunciabili, è possibile e necessario costruire un mondo nuovo.

Vanni Pasca nel presentare il lavoro di Paolo Rizzatto parla di uno strumento espositivo, una struttura orizzontale metallica che permetta di esporre una delle sue lampade più belle, la «Berenice» realizzando un'immagine che contiene se stessa. Così che parlando del proprio lavoro Rizzatto ritiene che l'utilizzo di «tecniche distanti tra di loro e nel tempo», l'uso di materiali «contrastanti nelle prestazioni, nell'aspetto e nella memoria» possa contribuire a modificare l'attuale situazione di stallo progettuale. Una preoccupazione costante nel temere che il minimalismo pur così importante possa sfociare in un conformismo stilistico, oppure ridotto ad un concettualismo che si offre sì alla contemplazione solo perché non riesce a tradursi in oggetti, reali, sensibili, corporei.

Scacchetti parlando della sua stanza, sottolinea come ogni progetto traduca un 50% di scelte logiche ed un 50% di scelte individuali, personali, autobiografiche, traendo la conclusione che tra l'obbligo al fare e l'assumere posizioni teorico-ideologiche determini i limiti stessi del nostro cammino, auspicando il superamento e l'accettazione delle differenze fra progettisti, fra stili. Presentando il lavoro di Imre Makovecz, Francois Burkhardt parla di pensieri che fondano le basi di una tradizione umanista legata alla emancipazione collettiva ed individuale, da una preoccupazione di buone relazioni, di reciproca libertà e rispetto della diversità e alla ricerca di una vita condotta in armonia con la natura che lo circonda». Cristina Morozzi nel presentare Karim Azzabi parla di design «ludico, di un design meravigliante» per una attenzione all'esperienza, al vissuto, ad una narrazione di verità, attinente alla vita nei suoi momenti di stupore e di «fanciullezza». La necessità di dilatare gli orizzonti troppo ristretti ed elitari delmondo del design in cui ci si sente stretti per un mondo più «popolare», più vicino alla verità di ognuno di noi. Ecco quindi prendere corpo e importanza oggetti «compensativi» e «integrativi» delle funzioni simboliche che l'uomo oggi è spesso costretto ad abbandonare. Di particolare interesse la «mistica della potenza informatica» la possibilità di rifondare il segno architettonico come «valore esteticamente autonomo» e libero da condizionamenti funzionali del «de-costruzionismo» presentato da Abbas Gharib. Nella straordinaria congerie di idee e progetti mi ha profondamente colpito Franco Bolelli quando parla di personalità straordinarie come Campbell, Watts, Suzuki, McKenna, per non dire degli sciamani pellerossa che non vengono mai citati dalla cultura accademica europea che li tiene fuori dalla propria ristretta visione. L'importanza, come sottolinea Campbell, di rivalutare la funzione della mitologia, della filosofia, della progettazione «nel riscaldare i centri vitali degli esseri umani». Il mercato e l'economia vanno in crisi proprio quando si dissuade la sperimentazione e la ricerca. La sperimentazione e la ricerca sono i parametri a cui «Abitare il Tempo» da sempre ha dato la massima importanza al fine di stimolare la creatività verso la riappropriazione di miti essenziali per un modello di vita armonioso e felice. Mario Pisani nel presentare il lavoro di Paolo Portoghesi allude a «quel modello variabile ed indefinito che contiene tutti gli stili: natura e architettura, natura e design, natura e progettazione. «L'albero della vita» presentato da Portoghesi vuole essere un riferimento associato alla conoscenza e nutrirsi dell'albero significa assorbire «la sostanza del mondo» e, per conseguenza progressiva, la conoscenza dell'ordine delle cose. L'ipotesi consiste nel costruire un mobile che innanzitutto rifiuti il destino dei suoi simili confinati lungo le pareti ed emarginati nella stanza. L'albero della vita può essere fruito da ogni lato e possiede l'autonomia della creatura più ammirevole della natura: l'albero. La mostra «Progetti e territori» esprime nel 1993 ben dieci proposte: otto regioni italiane oltre a Francia e Spagna.

Tra le proposte presentate credo che alcune meritino una sottolineatura; mi riferisco alla «Sacra fabrica», una mostra hommages o d'après dedicata in particolare a D'Annunzio ma anche a tanti altri personaggi ove l'eccesso «ideologico, mistico, sessuale» come dicono William Sawaya ed Enzo Biffi Gentili possono «armare» rafforzare il progetto. Così la mostra concorso «Vivere sul velluto» a cura di Carla Rottola pone le premesse per rivalutare un materiale, il velluto, così antico e così attualizzato; alla mostra daranno un contributo di selezione Marika Camiti Bollea, Gillo Dorfles e Ettore Mocchetti. Pure «Abitare il Tempo» propone un concorso che darà oltre trecento proposte: «L'oggetto neoeclettico». Tra queste, trenta saranno selezionate e i primi due premi saranno appannaggio di Stefano Follesa e Marco Magni. Nella sezione dedicata alle riedizioni, il tema analizzato è il Novecento. In un impianto scenico progettato da Vincenzo Pavan, centrale e maestoso il progetto di Piero Portaluppi del 1923 che l'autore mai riuscì a realizzare si presenta nella sua imponenza, un anticipatore del movimento «Novecento» così lo descrive Rossana Bossaglia «saloncino anticamera: introduzione topografica e storica, dentro e fuori metafora». Ma sono altresì importanti le riedizioni di Gio Ponti dello studio zebrato del Presidente della Ferrania a Roma del '37 elaborazione di G.D. Salotti per le sorprendenti capacità realizzative di Medea, così come i severi e nobili mobili di Angiolo Mazzoni per lo studio di F. Meschini e S. Cassio, lo studiolo di Guerrini per lo studio di T. Dalpozzo e il «pezzo unico» di Schindler per lo studio di C. Toraldo Di Francia.

L'edizione 1993 presenta altresì uno sviluppo nella parte dei laboratori metaprogettuali. Consolidata nella sua espressione di proposta riferita all'area di ispirazione classica legata all'alto artigianato, lo zoccolo delle aziende originarie, «Abitare il Tempo» viene ogni anno di più a puntualizzare un momento di verifica per quanto attiene all'area di estrazione moderno-contemporaneo. Ne sono una riprova i laboratori dedicati al bagno «Luogo di delizie» a cura di L. Celli, un luogo ove possa ritrovare spazio la conversazione, l'ozio, la purificazione del corpo ma anche dello spirito; ed all'infanzia: sotto una grande figura di un animale un improbabile D.O.G., Design Over Games, troviamo ambienti dedicati allo spazio, all'animazione, ai materiali, al clima per il mondo dei bambini, una mostra che trova sempre più riscontro e interesse nei visitatori.

Siamo al 1994 sicuramente l'edizione migliore, salvo quest'anno essendo il giudizio ancora sospeso. Per quanto concerne la mostra tematica questa risulta incentrata su «Oggetto e società»: venti autori per venti aziende per venti possibili modelli di vita e comportamentali. Ne uscirà un quadro ove la diversità viene espressa come un diritto, ove convivono le più articolate e imprevedibili categorie sociali che progettisti e aziende devono necessariamente guardare da «attenti osservatori» per cogliere i più rapidi sviluppi che la società compie. La mostra «Progetti e territori» esprime una anteprima di venti cornici su progetto di altrettanti autori per tutte le regioni italiane presenti e non, ad opera dell'Alessandro Fiorentino Collection. Sono otto le regioni presenti con la Spagna, il Giappone e due spazi legati alla comunicazione ed all'arte. Da sottolineare la presenza delle fonderie veronesi con una grande opera di M. Berrocal, la mostra «Viaggio in Italia» a cura di W. Sawaya e V. Pasca, un excursus di autori stranieri che ancora possono compiere nel paese da sempre ritenuto ideale. Il viaggio consentirà loro di scoprire le nostre realtà regionali, le nostre tradizioni e lavorazioni manuali, un percorso per un viaggio dentro se stessi, dentro al proprio paesaggio inferiore. Con la «Casa che ride», tutta al femminile, la Spagna propone nuovi orizzonti creativi ove il gallo è esorcizzato nella posizione instabile di banderuola che indica purtuttavia nuove possibilità e nuovi obiettivi, in un circuito aperto ove non esistono porte per chiudere ed inibire percorsi infiniti. Il viaggio si chiude con il Giappone ed il ritorno dell'amico Fumio Shimizu ci porta una proposta minimale, tanti piccoli mobili per le piccole case giapponesi, tanti autori giapponesi per aziende italiane, tante proposte per le miniabitazioni delle grandi aree metropolitane di tutto il mondo, un tema attualissimo per grandi possibilità anche mercantili. Attraverso un colloquio con Isa Vercelloni scaturisce l'ipotesi di una mostra su Guglielmo Ulrich curata con l'ausilio di Ugo La Pietra, Giancorrado Ulrich e Matteo Vercelloni; la mostra toccherà uno dei punti più alti della ricerca legata alle riedizioni di «Abitare il Tempo». Sono un universo inesplorato gli archivi di Giancorrado Ulrich che custodisce gelosamente i lavori inespressi del padre. Si tratta di un patrimonio straordinario che la prospczione di «Abitare il Tempo» consente di riportare in vita e di materializzarsi. La mostra sarà richiesta ed ospitata al Museo di arti applicate di Colonia per una operazione irripetibile e consentirà la stampa di ben due cataloghi, uno nostro ed uno edito da Electa: un doveroso omaggio ad un grande maestro. Sul versante espositivo la fiera presenta oltre 400 espositori, una proposta formidabile di arredo globale ove tutte le realtà espressive sono validamente rappresentate, ma l'aspetto più singolare è rappresentato dai laboratori a cominciare da «Castalia» un luogo Edenico che Marika Camiti Bollea riesce a materializzare togliendo la corporeità agli oggetti attraverso la poesia. Un cielo soffice e trasparente avvolge la realtà di Castalia ove si sprigionano fiamme di vetro, si cammina su sentieri d'acqua per un mondo fluttuante, morbido, dolcissimo. I laboratori sono articolati in presenze autorevoli per quanto concerne: la cucina organizzata da Enrico Tonucci, il bagno ove da un luogo piccolo e in ristrutturazione, un brutto anatroccolo, possono scaturire cigni superbi: tre proposte straordinarie di Ambrogio Rossari e Luci Salamanca e Marcatti Associati. L'arredo per l'infanzia pone più interrogativi che rassicuranti risposte. Carlo Guenzi infatti pone molti aspetti di riflessione sul luogo abitativo dell'infanzia.

Siamo arrivati al 1995, al decimo anno: «Fugit inreparabile tempus» diceva Virgilio ed è una frase attualissima; questa decima edizione tenterà di fermarlo, per cinque giorni vi sarà una proposta a coronamento dell'opera: quattro padiglioni espositivi per 430 espositori, sette laboratori di ricerca a sottolineare altrettanti settori: ecologia, cucina, bagno, infanzia, arte della tavola, complemento, edizioni di design e quindi le mostre culturali: tre mostre quale preambolo al decennale dedicate alla storia, al progetto, alle lavorazioni ed ai materiali, i nove anni di «Abitare il Tempo», una mostra tematica sugli audiovisivi per la casa del Duemila, sette regioni italiane, due mostre tematiche «La casa sensoriale» e «Delirium design» ed infine, ospite d'onore, la Russia con quindici proposte di design. Questo è ed è stato «Abitare il Tempo», una operazione che la Fiera di Verona ha fortemente sostenuto collocandosi così su di un territorio che la pone all'avanguardia come gli obiettivi della manifestazione, una manifestazione che ha guardato al passato, alla storia, per progettare ed incidere sul presente affinchè possa esservi un futuro migliore.

Io voglio esprimere un plauso a tutti coloro che si sono prodigati dando il meglio delle loro capacità intellettive e manuali e semplicemente a coloro che hanno incoraggiato e sostenuto l'operazione. Con lo stesso spirito che ci ha condotto a questo traguardo continueremo, affinchè sia sempre attuale la formula che consente di «Abitare il Tempo»*.

 

Carlo Amadori

Verona, ottobre 1995

 

* Tratto dal catalogo «Abitare il Tempo - Dieci anni di ricerca, sperimentazione e nuove prospettive», 1995, Veronafiere.

 

OPERE

 

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