NATURALISSIME ED IMPOSSIBILI POLIVALENZE

1974-1976

 

Un brivido inatteso, di fredda ragione sentimentale, passa oggi a portar minacce e turbamenti nelle limpidissime immagini di Carlo Amadori, un'artista di cui s'avverte, in questa mostra, una maturazione profonda: in senso plastico e pittorico, innanzi tutto, ma anche «ideologico».

A dare esempio dell'approfondimento qualitativo son pressoché tutte le opere qui esposte, che restano tese in superficie ma hanno acquistato moltissimo in spessore allusivo e in trasparenze portate a infoltire il gioco della materia.

Il momento più alto è certamente raggiunto da Amadori nella grande veduta d'intemo, ispessita da tramandi che ci riportano al clima della Neiie Sachiichkeit più gelidamente analitica, anche se qui il vedere moderno non consente spazi eccessivi alla speranza polemica e tutto si fissa, come per dannazione metafisica, in un ordine pressoché immutabile delle cose. Quei personaggi che paion spartire l'ineluttabilità del minerale levigato da una lunga tradizione d'officina, e fissarsi in pose emblematiche della certezza manageriale, sono illuminati da bagliori d'aeroporto ma si potrebbero benissimo immaginare non spaesati davanti a qualche superbo modello di cannone fabbricato dai Krupp.

Vi è, insomma, uno spaesamento non spaesante nell'immagine di Amadori, che gioca su impossibili e naturalissime polivalenze, moltiplicandosi (stavo per scrivere «riproducendosi») per qualche intema logica negli ambienti e nelle situazioni più diverse. Non a caso, all'unità di spazio, corrisponde nelle ultime pitture uno sfalsamento del tempo, almeno di quello storico o cronologico.

Possono cioè coesistere, senza vera frattura, personaggi d'antichi album familiari e «modelli» di generazioni ultimissime, in una immagine implacabilmente sincrona al cui interno (ma un interno quasi inaccessibile tanto è spesso e impenetrabile il cristallo di superficie) passano tutte le contraddizioni e tutti gli scompensi di cui la pittura di Amadori si fa interprete nel momento stesso in cui pare tesa a placarsi nell'imparzialità e nella solennità della immagine estetica.

Da questa intema dialettica delle forme prende ragione quel che ho definito l'approfondimento ideologico dell'artista, oggi gettato al rischio di una nuova ricchezza problematica il cui urgere raffrenato è tuttavia immediatamente avvertibile. I personaggi, nella nuova situazione d'immagine, non son più immote copie conformi od oggetti biologici senza passato e senza futuro, ma testimoni a loro modo attivi di una vicenda che va complicandosi anche in senso psicologico, che gestiscono una loro ideologia, appunto, un certo modo di atteggiarsi al mondo. Che è anche modo direttamente critico nella misura in cui incrinano con presenze disordinanti - e sia pur sempre discretissime - gli spessori dell'ovvietà iperrealista.

La pittura di Amadori, in definitiva, ha perduto molta della sua indifferenza, di quella sindrome del quotidiano in cui si fissavano le allucinazioni di un reale infinitamente ripetuto nei suoi moduli esteriori.

La riflessione, ora, non resta estema all'opera ma la condiziona, ne fa un luogo in cui penetra lo stupore e l'imprevisto, ove il gioco delle parti è prefissato da qualche modo prevaricante dell'intelletto: anzi, il «movimento» intemo percebibile per allusioni e sfumature più che per i contrasti (di tempo, di luogo, di situazione) posti sotto luce diretta sembra venire a infrangere con lenta determinazione proprio gli schemi a cui l'immagine di Amadori si era volutamente, e polemicamente, ancorata in passato. L'incombere degli «oggetti», persone o cose, non s'è certo attenuato, ma vien come ripreso in un riflusso scombinante di memorie che ne accentua l'incredibilità.

Quegli aerei che posano come grotteschi reperti archeologici in un mondo di modernissime crinoline, o quei bagnanti un po' rigidi nel gusto vagamente littorio di qualche spiaggia-bene degli anni Trenta, sono testimoni di un passato-presente che si può magari rivisitare, ma senza ironia: senza, cioè, la pretesa di viverlo come alternativa «grottesca» ad una vita che anche del grottesco ha perduto il senso e l'arte.

Pesano ancora i silenzi dell'immagine nel lavoro di Amadori: nel momento in cui l'opera si fa più densa ed oscura, avvertiamo approfondirsi la distanza fra il lavoro dell'artista e la vita quotidiana, sempre più banale e banalizzante, sempre meno capace di configurarsi come visione etica od estetica di un individuo in qualche modo sopravvissuto ai livellamenti di massa.

Scrivevo, proprio in una presentazione per Amadori, che l'arte d'immagine, se non trova approdi in un individualismo in qualche modo orgoglioso di sé, dovrà per dannazione raggelarsi nell'iperrealismo: che è soltanto un altro modo dell'azzeramento in atto nel mondo della cultura contemporanea.

Oggi Amadori tenta, come altri, di resistere a questo processo che pare irreversibile. Con quali speranze, non so.

Credo che ben poco, ormai, possa dipendere da ciò che fanno o non fanno gli artisti.

 

Franco Solmi

Stresa, marzo 1976

 

OPERE

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